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sabato 20 marzo 2010

Histrionica, Ravennantica 'mette in scena' il teatro delle origini

Dal 20 marzo al complesso San Nicolò si potrà ammirare un notevole corpus di maschere legate ai generi teatrali, che provengono dagli scavi delle antiche città sepolte dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d. C.
Ravenna, 18 marzo 2010 - Mimi e attori. Maschere e coturni. Commedie e tragedie. Edifici monumentali e spettacolari scenografie. RavennAntica ‘mette in scena’ il teatro delle origini, con i suoi personaggi e allestimenti scenici, con le sue architetture e ritualità. Il visitatore potrà ammirare un notevole corpus di maschere legate ai generi teatrali: oggetti che provengono, in particolare, dagli scavi delle antiche città sepolte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 dopo Cristo e destinati alla decorazione architettonica di edifici pubblici e di domus.

Si tratta di reperti di grande bellezza, in marmo e terracotta, che riproducono i tipi più rappresentativi dei personaggi del teatro tragico e della commedia. Si intitola ‘Histrionica’, è ospitata nel complesso di San Nicolò (da sabato 20 al 12 settembre) ed è la prima esposizione di questo tipo in Italia settentrionale: Ravenna, con il suo Parco Archeologico, fa da apripista per eventi organizzati su argomenti di ampio respiro, anche in vista dell’ormai imminente apertura del grande Museo Archeologico di Classe.


Ravenna, d’altronde, può essere a pieno titolo palcoscenico di questo evento, perché vanta una grande tradizione teatrale di cui è protagonista sin dall’antichità: una fonte tarda, infatti, relativa ai costumi dei romani, raccontava che «nel circo si comportano come la plebe romana, nel teatro si comportano come il popolo di Ravenna». I reperti sono di grande bellezza e presentano i personaggi, gli attori e l’ambiente del teatro. Il percorso espositivo è suddiviso in cinque sezioni principali: i soggetti teatrali che arredavano la casa romana; la bottega dell’arte, ovvero i modelli originali per la produzione di maschere teatrali; gli edifici teatrali; il teatro romano: la commedia, la tragedia ed i vari personaggi stereotipati protagonisti delle opere; infine, una quinta sezione è dedicata alle origini del teatro, partendo dal mito di Dioniso.

Questi temi sono evocati con statue, mosaici, affreschi, oscilla, maschere, vasi e lucerne. In particolare, il visitatore potrà ammirare un notevole corpus di maschere legate ai generi teatrali. Non si sono purtroppo conservate maschere originali antiche, realizzate in materiali deperibili come la stoffa gessata, il legno o la pelle, corredate da parrucche di lino o di pelo, dotate di un elemento a forma di imbuto posto in corrispondenza della bocca per amplificare la voce. Ma un’ampia documentazione di tutto questo proviene dalle produzioni antiche su marmo e terracotta che saranno esposte in San Nicolò In particolare, il visitatore potrà entrare nella bottega dell’arte di un artigiano di Pompei e osservare da vicino un gruppo di quindici maschere in gesso di duemila anni fa, probabilmente erano i modelli di cui un artigiano si serviva per la realizzazione di esemplari destinati agli attori.

sabato 13 marzo 2010

ci vediamo a cartoomics

giovedì 11 marzo 2010

Il regno del travestimento a New York




Una produzione teatrale fa sempre i conti con le emergenze dell’ultimo minuto. Per questo sono andata a cercare alcuni pezzi di abito e una base per un cappello sulla Broadway all’altezza dell’11th Street.

Qui esiste, da parecchi anni (un record in una città in così rapida evoluzione) “New York Costumes”, vale a dire il paese dei balocchi di chi ama il travestimento.

Il negozio occupa due interi piani, dalla Broadway alla Fourth Avenue, di un edificio dei primi del Novecento. All’interno si trova di tutto: parrucche, cappelli, costumi, nasi, orecchie, occhi, baffi, nei posticci, mazze, ossa, denti, sangue, martelli, pistole, asce, boa di piume di tutti I colori e così via.

Naturalmente è tutto materiale di scena, per uno spettacolo o magari per la parata di Halloween.

La commessa che mi ha visto in mano con un vestito da prete mi ha consigliato di visitare il piano inferiore. Qui i costumi sono a sfondo erotico e chissà che idea si era fatta di me!

A proposito di commessi. Sono tutti vestiti di nero, tipo dark-gothic. Mi sono sempre chiesta se fosse parte di una strategia precisa del negozio o se fosse volontà del proprietario. Ma il giorno credo di aver trovato la risposta alla mia domanda dove aver conosciuto il proprietario anche lui vestito di nero con piercing e anelli stile gotico dappertutto.

mercoledì 10 marzo 2010

PARRUCCHE PERICOLOSE Lombardia/ Milano, vigili sequestrano 5mila giocattoli pericolosi

Milano, 9 mar. (Apcom) - I vigili urbani hanno sequestrato circa 5mila giocattoli pericolosi sprovvisti del marchio "Ce" in un piccolo negozio di via Niccolini, nella Chinatown meneghina. Lo comunica il vicesindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo De Corato, spiegando che il titolare del negozio è un cittadino di origine cinese che è stato denunciato.

Tra i prodotti sequestrati e destinati a bambini c'erano parrucche con maschere facciali in gomma, spade, palline luminose sonore, aeroplanini, girandole che, a quanto risulta dalle bolle di consegna, provenivano da Napoli.

"E' il sesto blitz della polizia locale nel quartiere - spiega De Corato - che solo una settimana fa aveva sequestrato altri 6mila giocattoli e materiale elettrico contraffatti in un esercizio commerciale di via Giordano Bruno. Dal 2008 è poi la 48/esima operazione contro la criminalità cinese".

lunedì 1 marzo 2010

Final Fantasy XIII: evento a Londra per il lancio europeo





In occasione dell’arrivo in Europa dell’ultimo capitolo della serie Square Enix gli autori incontrano i fan nella capitale inglese. Previsti regali per chi si presenta in costume.

Il 9 marzo si avvicina, e Final Fantasy XIII è pronto a debuttare sul mercato europeo. E, al pari di un titolo cinematografico atteso da tempo, lo fa in grande stile con un evento organizzato ad hoc. Appuntamento a Londra il 9 marzo, presso il megastore HMV in Okford Street: lì il produttore Yoshinori Kitase e l’art director Isami Kamikokuryo presenteranno il gioco con una conferenza in cui risponderanno alle domande degli appassionati.

Ma l’evento in sé non sarebbe poi così straordinario, se non fosse arricchito da una proposta accattivante: sono infatti previsti numerosi gadget per i fan che vorranno presiedere all’incontro in cosplay, ovvero travestiti da personaggi dell’ultimo capitolo della serie Square Enix. Le parrucche viola o biondo platino, le armi futuristiche, i vestiti sgargianti daranno ancora più colore a un evento che di per sé assume già una grossa rilevanza. Se avete modo di volare a Londra nel giro di una settimana, e ovviamente se siete appassionati di una saga videoludica che non cade mai nell’oblio, fateci un pensiero: d’altronde i biglietti e gli ostelli non costano così tanto.

torna la principessa Sissi...dalla folta capigliatura




Da ieri sera è la principessa Sissi, avvolta d'abiti e strascichi in raso duchesse. E per presentarla, mica per interpretarla, si è presa la febbre. «Ho fatto tardissimo, l'altra notte, e non sono abituata». Così va, per Cristiana Capotondi. Che sin da bambina, quando per casa la chiamavano Titta (perché la sorella, sebbene più grande, non riusciva a pronunciare il suo nome), aveva una passione per la storia, e il Risorgimento italiano, in scena indossa 15 chili tra diademi e parrucche, e per «viso antico, forse», si è ritrovata ancora una volta, dopo la serie Orgoglio e i Vicerè di Roberto Faenza, a dover impazzire con corsetti e merletti d'epoca. Così stasera, anche, ancora su Raiuno.
Com'è stata, ancora una volta, dura?
«Divertente. E faticoso. La sera ero sfinita. Mi hanno aiutato, però, nell'interpretazione. Li indossi e sei regale, imperiale. Solo che prima di arrivare al risultato che vedrete, abbiamo cambiato in almeno cinque prove costume sul mio corpo almeno altrettanti tessuti, colori, tagli, scollature, acconciature. E anche passare dai 30 anni miei ai 16 di Sissi mica è stato da ridere».
Vienna e Berlino, dove la fiction kolossal da 12 milioni è già andata in onda, l'ha emozionate. Tutti a bocca aperta, sono rimasti.
«Ed era difficile. Lì più che altrove. Avevo l'ombra lunga di Romy Schneider, la protagonista storica, tra il 1955 e il 1957, della trilogia sulla principessa. Ma la Sissi del 2010 va oltre la favola in quel dopoguerra necessaria: indaga con maggior realismo sì sulla fragilità e l'incertezza dell'imperatrice d'Austria, ma ne scruta anche le pieghe ribelli e impegnate. La riscatta, anche. La sua prima notte di nozze, ad esempio: la famiglia vorrebbe origliarla, violarla. Noi, invece, facciamo l'amore in modo romantico. Troviamo una scappatoia, con un'escamotage di sceneggiatura».
Dove la vede, Sissi?
«Nella mia casa. Dove vivo sola da 5 anni. Emozionata: la versione italiana non l'ho ancora vista. Sul set si parlava inglese. Quando io so meglio il francese».
Sapeva ballarlo, il valzer, prima di Sissi?
«Sì, ma non questo viennese, che è un valzer a sinistra. E infatti mi lascio portare dall'imperatore. Sono una novizia, non dovevamo essere perfetti, ma credibilmente innamorati».
E col cavallo, come se l'è cavata? La sovrana d'Austria era una cavallerizza provetta...
«Anche qui, a cavallo sapevo già andarci, ma con la sella all'inglese, non quella femminile. Quindi ho fatto una full immersion d'equitazione al maneggio romano della Farnesina».
L'altra Sissi, Romy Schneider, era amata da Alain Delon e spiata dalla Stasi, i servizi segreti della Germania Est. Lei?
«Non ho né un Alain Delon che m'ama, sfortunatamente, né spie al seguito, fortunatamente. E a pensarci non avrei neanche motivo di preoccuparmi di finire nei fascicoli delle intercettazioni telefoniche che fanno tremare i polsi di alcune ragazze d'oggi».
Dopo il suo fidanzato storico con cui ha condiviso 10 anni, le infatuazioni da set coi colleghi Primo Reggiani e Nicolas Vaporidis, ora ha un imperatore Francesco Giuseppe nella sua vita?
«No, sono single. Ma sto bene. E una cosa l'ho capita: avere rapporti con quelli che fanno il tuo stesso lavoro, e poi quand'è questo, il lavoro, è una follia».
A quasi 30 anni ha in tasca una laurea, premi, copioni d'ogni sorta. E' mai uscita fuori dai binari?
«Passo per giudiziosa. Ma ho fato anche io tardi la sera, ho dormito fuori casa senza dirlo ai miei e beccandomi la mattina dopo la lavata di testa, e ho corso in motorino dentro una notte, forse a fari spenti, per riprendermi il mio fidanzato storico dopo una lite, un tempo. E sono quelle cose che fai a 18 anni e mai più».
E' vero che colleziona scarpe e sogna una scarpiera dove dividerle per colore e tacco?
«Ne ho tantissime. Per lavoro. D'ogni altezza e colore. Ma la vera felicità sono quelle da ginnastica. Le metto ai piedi appena posso. Sono il mio scacciapensieri».

fonte http://www.style.it/vanitypeople/show/tv/2010/02/27/cristiana-capotondi-principessa-sissi.aspx#

parrucche da clown e ...sorrisi

In corsia, per far sorridere i bambini
Le ragazze del Nord Est viste con l'occhio di due scrittori
L’appuntamento è fissato alle quattro di pomeriggio davanti all’ingresso dell’ospedale. È una bella giornata di sole e il corpo bianco e massiccio dell’edificio appare sbalzato contro l’azzurro intenso del cielo. Il traffico della tangenziale è una vibrazione bassa e costante che stordisce un po’. Stefania, il nostro contatto, arriva in bicicletta. Ventiquattro anni, lunghi capelli neri e un sorriso aperto, pieno di ottimismo. Posa sull’asfalto la borsa con gli attrezzi di lavoro, diciamo così, e ci stringe la mano. «Il reparto di pediatria è al sesto piano », dice. «Cominceremo da quello, come sempre». Gli altri volontari arrivano alla spicciolata. Nel giro di pochi minuti si radunano una dozzina di persone. Sono tutti giovani, fra i venti e i trent’anni. Le ragazze appaiono in netta prevalenza. Ognuno di loro porta a tracolla la borsa con parrucche colorate, nasi finti, palle rotonde da fissare sulla punta delle scarpe: il corredo dei clown.

Nonostante la giornata di pieno sole, all’interno del grande atrio dell’ospedale l’atmosfera è quasi notturna: poche vetrate, grandi neon accesi che riverberano riflessi liquidi sul pavimento lucido. Il gruppo dei volontari si dirige verso i bagni. Entrano come ragazzi qualunque, vestiti con jeans e piumini. Pochi minuti dopo ricompaiono trasformati. Grembiuli a pois. Pomelli rossi sulle guance. Grandi, giganteschi occhiali di gomma. E tutta una variegata serie di attrezzi: ombrelli, trombette, palloncini, bacchette magiche. Stefania indossa un mantello giallo a righe nere. «Il mantello-ape» ride. La sua parrucca color fucsia la fa sembrare ancora più giovane. «Il clown è la maschera più piccola del mondo» dice. «Un naso finto e via. Quanto ti travesti, non diventi un’altra persona. Al contrario, diventi chi sei davvero». Raggiungiamo tutti insieme al sesto piano. L’infermiera saluta con un sorriso dalla guardiola. Alle pareti del corridoio ci sono grandi disegni. Bruchi che escono dalla mela, rondini in volo, funghi giganti. Anche poster di tramonti sul mare e paesaggi alpestri. La maggior parte delle stanze hanno le porte aperte. Accanto ai letti dei piccoli ricoverati ci sono padri e madri. Alcuni bambini stanno disegnando o leggendo. Altri hanno un’aria stanca, esausta, che impedisce qualsiasi attività. C’è un libro che tutti dovrebbero leggere a proposito della sofferenza infantile - tutti i fortunati che non ne hanno avuto esperienza diretta. Si intitola Per tutta la notte, del francese Philippe Forest. Lì dentro c’è ogni cosa. I giovani clown si disperdono nel regno della sofferenza più profonda, più ingiusta e inspiegabile. Entrano a coppie nelle stanzette, si avvicinano ai letti. «Bisogna stare molto attenti, quando si entra - dice Stefania -. Bisogna trovare subito la distanza giusta. Né troppo vicini, né troppo lontani. Se vai troppo avanti rischi di disturbare, spaventare. Se resti troppo indietro, rischi di non stabilire alcun contatto. È questione di centimetri ».

Subito il reparto si anima. Palloncini in aria. Suoni di trombette. Battimani. I piccoli malati, dai loro letti, sgranano gli occhi con divertimento. Anche quelli dall’aria più sofferente e provata sorridono. Molti scendono dai lettini, si avvicinano ai clown per prendere il fischietto o il cappello di carta. Alcuni faticano a muoversi, camminare. Vengono aiutati dai genitori, con attenzione infinita. È uno spettacolo che non si dimentica facilmente. Le differenze fra mio e tuo, vicino e lontano sono come abolite. Adesso nel reparto si sente soltanto una voce antica quanto la specie stessa, la voce degli uomini e delle donne che si muovono per andare incontro, offrire aiuto e sollievo a chi non ha difese. «Io lavoro in una pizzeria», dice Angela durante una pausa dello spettacolo. Ha vent’anni, occhiali dalla montatura sottile e cappellino a forma di banana sulla testa. «Sono entrata gruppo due anni fa, in un periodo abbastanza brutto della mia vita. Avevo appena lasciato il mio ragazzo e mi sembrava di girare a vuoto». I suoi modi tranquilli tradiscono una volontà molto forte. Si avverte che l’impegno nel volontariato ha molta importanza per lei. «Si fa un corso di tre giorni per imparare le tecniche dell’improvvisazione e subito si comincia - conclude, bevendo un sorso d’acqua dalla bottiglietta di plastica -. Vengo qui ogni volta che posso». Luciana ha ventinove anni, fisico esile ed aria mite. Lavora come responsabile informatica in un’azienda di stampi. Anche il marito fa parte del gruppo dei volontari, sebbene oggi non sia presente. «All’inizio non riuscivo quasi a dormire, la notte prima delle visite - dice -. Venire qui mi agitava tantissimo! Pensavo di non essere abbastanza brava, abbastanza convincente. Adesso mi sento molto più sicura. Molti bambini mi aspettano, mi buttano le braccia al collo appena entro nella stanza. Io non ho ancora figli, ma è una sensazione magnifica».

In fondo al corridoio appare un medico. Un clown si avvicina, gli mette un cappellino sulla testa. Lui ringrazia sorridendo e scompare in una stanza con la sua cartella gonfia di lastre a radiografie sottobraccio. Un giovane infermiere che spinge un letto montato su rotelle viene ornato con collane di fiori di carta. Anche lui ringrazia con un cenno del capo. Giuliana ha ventisei anni, studia scienze politiche e vuole tentare la strada della diplomazia o delle organizzazioni internazionali. Quando ci avviciniamo, è ancora satura dall’allegria e dall’adrenalina della rappresentazione. «Prima facevo teatro in una compagnia amatoriale - racconta -. Passavamo settimane a provare commedie di Goldoni e Ruzzante. Poi ho scoperto questo impegno. Per me è una prosecuzione dell’esperienza del teatro. Un teatro più vero, se vuoi. Più immediato. Dove gesti e parole provocano reazioni dirette, visibili. E cercano di fare del bene ». Sono passate due ore. Fuori è diventato buio. I clown lasciano il reparto e tornano al pianterreno. Fra poco si cambieranno nei bagni. Parrucche e ombrellini verranno riposti nelle borse, la vita di sempre riprenderà. Nell’atrio dell’ospedale ci sono poche persone. Stefania appare un po’ stanca, come svuotata dalla rappresentazione. Scambiamo le ultime parole prima di salutarci. «Chi è il clown? - dice - Uno che vive nel fiasco. Io, che ho sempre avuto di sbagliare, con il naso finto e la parrucca in testa mi sento più leggera, come liberata». Ci sorride con aria incerta, per capire quanto lontano sia lecito spingersi. «Ho sempre sofferto d’insonnia, fin da quand’ero una ragazzina di quindici anni - dice -. Ma dormo benissimo, dopo che sono stata qui».

fonte http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cultura_e_tempolibero/2010/1-marzo-2010/corsia-far-sorridere-bambini-1602574746568.shtml

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