di Antonio Sciotto
TELEVISIONE L'azienda del Cavaliere lancia la protesta: «No alle esternalizzazioni»
È il primo sciopero Mediaset
Lo stop forse domenica. Il primo a saltare è il settore trucco
I dipendenti Mediaset si preparano al primo sciopero nazionale della loro storia: la notizia ufficiale dovrebbe arrivare già questa mattina, con un comunicato di Cgil, Cisl e Uil. La data più probabile, domenica prossima: il Tg5 potrebbe non andare in onda, come sono a rischio la Domenica 5 di Barbara D'Urso e le trasmissioni Premium legate al calcio. La scintilla che ha fatto scoppiare la protesta è un fax mandato alla vigilia dell'Epifania ai sindacati: si annuncia l'esternalizzazione del settore «Sartoria, Trucco e Acconciatura» (detto più comunemente «Trucco e Parrucco»), 56 dipendenti tra Milano e Roma. Un colpo improvviso precipitato tra gli interessati, anzi tra le interessate visto che sono quasi tutte donne: la cessione a un'altra società viene vista un po' come l'anticamera del licenziamento, o comunque come la minaccia di un futuro incerto. «Così diventiamo tutte precarie - ci spiega una delle truccatrici romane, che vuole restare anonima - Siamo tutte donne sopra i 40 anni, perlopiù separate o sole con figli: una di noi questa mattina si è messa a piangere, appena ha saputo».
La preoccupazione, però, così come tra truccatori, parrucchieri e sarti, si è diffusa in tutta l'azienda. Un po' tutto il modello Mediaset è cambiato negli ultimi anni, e il timore dei dipendenti - tecnici, cameramen, produzione - è che questa esternalizzazione sia solo l'inizio. Trucco e acconciatura saranno ceduti alla «Pragma service srl», perché, ha spiegato l'azienda, «detti servizi non rappresentano una attività caratteristica del processo produttivo televisivo»: «Ma a questo punto - si chiede Roberto Crescentini, delegato Fistel Cisl - cosa sarà più definibile come "servizio caratteristico"? Potrà capitare lo stesso alla produzione, al montaggio, ai cameramen». E segnali che non si punti più sugli interni, ma che si preferisca affidarsi a service appaltati o a semplici precari sottocosto, arrivano ormai da tempo.
La sottoutilizzazione e marginalizzazione del personale Mediaset era già stato oggetto di un primo sciopero, fatto qualche mese fa, ma dal solo personale Videotime (riprese, tecnici sartorie, produzione): adesso, lo stop che si deciderà per i prossimi giorni, coinvolgerà invece anche Rti (redazione programmi) ed Elettronica industriale (il personale che si occupa della diffusione del segnale). In tutto, se comprendiamo anche gli addetti della Mediashopping (televendite), 3796 dipendenti.
I parrucchieri raccontano di come gli interni vengano utilizzati sempre meno, mentre per le grosse star si arrivano a impiegare «esperti di immagine» a 700 euro al giorno, oppure - all'altro estremo - giovani impiegati presso Srl o cooperative che guadagnano 6 euro l'ora. Così avviene per le troupes televisive: all'ultimo evento della Fao, la cui sede è a 200 metri dal Centro Palatino del Tg5, non è andata neppure una troupe interna, ma sono stati spediti operatori in appalto. Lavoratori che si riescono a pagare, tutto compreso, anche 50-60 euro per 8-10 ore di lavoro. Un bel risparmio.
D'altra parte, gli sprechi, raccontano i sindacati, ci sono eccome: gli appalti, in molti casi, costano di più degli interni. O affittare studi come Cinecittà, dove oltre alle scrivanie si deve pagare anche una voce per gli apparecchi telefonici, e persino le chiamate Roma su Roma non sono urbane, ma vengono spesso conteggiate come quelle fatte dagli alberghi.
Non basta: essere esternalizzati, vuol dire perdere il contratto integrativo Mediaset, dunque diritti e benefit. Addio al premio di risultato, ai fondi Unisalute (assicurazione sanitaria) e Mediafond (pensione integrativa), ma anche al diritto di passare allo straordinario dopo 7 ore e non dopo 10, come prevede il contratto nazionale, al godimento di orari migliori. «Dopo vent'anni in Mediaset, è come dire che ci stanno licenziando - spiega una delle lavoratrici - E poi questa Srl che ci assume, che garanzie ci dà? Ci fornirà i materiali per lavorare, e di che qualità? Ci pagherà i pasti?».
E dire che il presidente Fedele Confalonieri, alla vigilia delle feste di Natale, era venuto a Roma per un brindisi con i dipendenti, un saluto di fine anno. Aveva assicurato che nessuno rischia il posto, in un'azienda sana come Mediaset, nonostante la crisi. E il vicepresidente Piersilvio Berlusconi di recente ha annunciato l'acquisto di due tv in Spagna, sottolineando che il gruppo è più che in salute. «Ma a noi non fanno vedere neppure il piano industriale», protesta la Cisl, «quando li incontriamo dicono che tutto va bene, ma dei progetti non si sa nulla».
I giornalisti per il momento non scioperano, ma seguono con attenzione le vicende che coinvolgono tutti gli altri dipendenti Mediaset: anche perché il 22 dicembre scorso è stata ufficializzata la decisione di accorpare tutti i redattori del Tg4 e di Studio Aperto, oltre ai corrispondenti (anche del Tg5), in un'unica maxi-agenzia, di cui non si conoscono bene i contorni. Pure in questo settore le proteste non mancheranno.