in realtà...il giornalista è...
Il signore (più anziano) che vedete qui in foto asserisce di chiamarsi Kwami Ogonno e di esser nato dalle parti della Somalia, come la sua pelle-cioccolata, la massa dei suoi ricci e quelle sue pupille color caffé dovrebbero ad evidenza testimoniare. Nel film-documentario dall’azzeccato titolo „Nero su bianco“ vediamo il povero Kwami girare solo e pensoso per le campagne della Sassonia a cercare, inutilmente, lavoro fra casali e contadini tedeschi (dell’est) non proprio illuminati. E comunque sospettosi nei confronti di Kwami (e delle sue sgargianti camicie). In un altro triste episodio ecco lo sfigatissimo Ogonno prender posto, in treno, in mezzo alla tifoseria più aggresiva di tutti gli stadi di Germania: gli scatenati Fans del Dynamo Dresden. Lo fa apposta il sedicente somalo a cacciarsi ovunque in Germania, dal nord al sud del paese, in mezzo ai guai?
Certo che lo fa apposta, visto che sotto quella pelle esageratamente scura del baffuto africano si nasconde il solito Günter Wallraff, il giornalista probabilmente più noto di tutta la Germania che da circa 4 decenni altro non fa che calarsi nei panni della povera gente, o dei poveri idioti. Per „mettere così alla prova“, come spiega il giornalista, o insomma ‚sputtanare’, diremmo noi, la mentalità e soprattutto la moralitá dei suoi connazionali. Sono allora dei ‚razzisti’, gente eticamente squallida questi 82 milioni di tedeschi al centro d’Europa? E sará poi ‚valido’ il Test morale che un irreprensibile professionista come Wallraff ha stavolta realizzato producendo dopo un anno di duro lavoro (e dopo esser sgaiattolato nei panni di Kwami Ogonno e di altri sfigatissimi personaggi) sia un film che un libro?
Nel frattempo Wallraff ha compiuto 67 anni e non ha i baffoni neri come Kwami, ma baffetti grigi e radi capelli bianchi. Gli studenti da 40 anni non protestano più come nel ‘68 contro Springer e nemmeno gli intellettuali di sinistra usano più in Germania le categorie degli ‚anni di piombo’ come Klasse, chi sta sotto o chi sta sopra. Lui invece, Wallraff, continua a mimetizzarsi e produrre così presunti ‚test’, come se infilarsi nei panni altrui fosse sinonimo di obiettività, ed il giornalismo (anche quello cosiddetto investigativo ) immune al tempo e alle trasformazioni sociali e politiche.
Ha ancora senso oggi questo tipo di inchiesta alla Diabolik?
Nel suo ultimo breve saggio sulla matematica e la dea fortuna Hans Magnus Enzensberger ha criticato molto saggiamente la più camuffata delle superstizioni postmoderne: la fede assoluta cioé che noi tutti (giornalisti, politici o lettori) nutriamo nelle tabelle statistiche, nei calcoli di probabilitá, sondaggi d’opinione o previsioni. In realtá, altro non sono che un gioco delle aspettative (tradite), o una continua caccia fra il gatto (colui che pone le domande) e l’interpellato-topo: che si nasconde o entra in agitazione non appena spuntano all’orizzonte le furbastre questioni (del gatto-giornalista). Le cui ‚statistiche’ alla fine riproducono spesso ciò che il gatto presume del topo, o quel che il topo (più furbastro ancora del felino) vuol dar ad intendere al gatto (scemo).
La realtá è davvero così semplicemente „Nero su bianco“ come il film-inchiesta di Günter Wallraff vorrebbe spiattellarci sotto gli occhi? O non sará che anche gli schemi del giornalismo-veritá, nonostante tutte le parrucche e telecamere nascoste, siano leggermente scaduti e comunque ingenui?
http://vastano.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/10/23/gunter-wallraff-e-il-giornalismo-verita/
venerdì 23 ottobre 2009
Con parrucca si diventa nero, nerissimo anzi..bianco
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